“Le ribelli che stanno cambiando il mondo”: il nuovo libro di Rula Jebreal

Redazione Il Libraio | 08.03.2023

La giornalista, conduttrice e autrice Rula Jebreal torna in libreria con "Le ribelli che stanno cambiando il mondo", il racconto di nove donne che, grazie al proprio attivismo e al testardo rifiuto di arrendersi, hanno innescato cambiamenti epocali nel nostro presente. Nove storie di vittorie e sconfitte che rinnovano l'invito a osare e a non arrendersi mai – Su ilLibraio.it un estratto dal capitolo dedicato alla calciatrice Sara Gama


In un mondo in cui l’autoritarismo insorge prepotente e i diritti sono sotto attacco, ci fanno da bussola le storie di chi, nonostante ostacoli e discriminazioni, resiste, combatte, crede e lotta per i propri sogni.

La giornalista Rula Jebreal (in copertina, nella foto di Juliano Torres, ndr), che vive da anni a New York, dove collabora con testate internazionali come il New York Times e il Washington Post, torna in libreria con Le ribelli che stanno cambiando il mondo (Longanesi), il racconto di un gruppo di donne che, dopo aver combattuto instancabilmente per cambiare le regole, ce l’ha fatta. L’autrice di Il cambiamento che meritiamo (Longanesi) si sofferma sulla storia di nove ribelli che hanno ridisegnato i confini di quello che era ammesso usando la propria determinazione e non lasciandosi fermare di fronte a nessuna barriera.

Rula Jebreal copertina ilLibraio febbraio 2023
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L’autrice, in copertina sull’ultimo numero della rivista Il Libraio, giornalista, scrittrice e docente universitaria nota a livello internazionale, ha alle spalle un percorso che l’ha inevitabilmente segnata: da un orfanotrofio di Gerusalemme, al quale era stata affidata dopo che la madre si era tolta la vita in seguito a violenze impunite in una società patriarcale, riesce a espatriare e a laurearsi, diventando una reporter combattiva, apprezzata e richiesta. Non a caso è da sempre attiva a favore dei diritti umani, nel 2019 è stata designata dal presidente Emmanuel Macron come consigliera per la parità di genere per il G7.

Le ribelli che stanno cambiando il mondo Rula Jebreal

In questo nuovo libro le protagoniste sono donne capaci di rappresentare la speranza di un futuro migliore. Con il loro attivismo e il testardo rifiuto di arrendersi hanno innescato enormi cambiamenti: dalla scienza allo sport, dal giornalismo alla politica, queste voci pongono le basi di un mondo paritario, distruggono lo stigma di genere e spianano la strada alle nuove generazioni.

E così, nel libro Le ribelli che stanno cambiando il mondo troviamo una scienziata che si dedica da anni a ostacolare la diffusione di idee pseudoscientifiche; una chef che usa il proprio talento per incoraggiare solidarietà e sostenibilità; un’hacker divenuta ministra per salvaguardare e fortificare la democrazia; un’atleta che gareggia contro il pregiudizio e il sessismo nel mondo dello sport. E ancora, due giornaliste che hanno affrontato regimi sanguinari, una fotoreporter che con i suoi scatti svela l’ipocrisia del mondo, una scrittrice che ha dedicato la propria vita ad aiutare le donne del sedicente Stato islamico e un’artista le cui opere denunciano la violenza in nome della ribellione.

Rula Jebreal
Rula Jebreal, foto di Juliano Torres

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, pubblichiamo un estratto:

Sara Gama
Nulla può fermarci 

« Le cose sono cambiate perchè le abbiamo fatte cambiare. »

 

Quando comincio la mia chiacchierata con la donna combattiva e determinata di cui parleremo in queste pagine, sono passati soltanto pochi giorni dal ritiro dal tennis di una grande sportiva, Serena Williams, un’afroamericana che ha obliterato lo stereotipo di un gioco considerato da ricchi e da bianchi e ha dimostrato al mondo intero che nello sport non importa da dove arrivi, di che colore è la tua pelle, o a che classe sociale appartieni, importa solo che talento hai e quanto a fondo ti impegni per farlo brillare. 

La Williams negli Stati Uniti è diventata il simbolo di un cambiamento necessario. Vederla in quell’ultima partita, con un completo nero di lustrini come un’ode alla femminilità e le lacrime agli occhi per l’emozione, ha suscitato un’ondata globale di passione e di riconoscenza che è arrivata fino in Italia. Qui, dove c’è un’altra ragazza, un’italiana con lo stesso colore di pelle di Serena, che sta lottando per sé e per le generazioni future e che con il suo esempio e il suo gioco sta trasformando un mondo considerato da sempre, soprattutto in Europa, appannaggio degli uomini: il calcio. 

Lei è Sara Gama, anno 1989, ricci neri e tricipiti da baluardo della difesa, testimoni di una forza fisica che è inferiore soltanto a quella spirituale. Sì, perchè di spirito ne occorre parecchio per sopportare, da donna, le ingiustizie di uno sport che ha fatto del divario di genere il suo punto più basso. E ce ne vuole ancora di più per decidere di reagire e cambiare lo status quo di un gioco da molti ritenuto sacro. 

Il calcio femminile, in Italia, fino a pochi mesi fa non condivideva nulla con quello maschile. Sara e le altre calciatrici non godevano di alcun diritto: niente contratti fissi o maternità, nessuna tutela lavorativa perchè, di fatto, non riconoscendole come atlete professioniste, non veniva riconosciuto il loro impegno calcistico come lavoro. Alle proteste delle atlete, supportate anche da una serie di importanti successi che hanno concesso finalmente una meritata occasione di visibilità, il mondo del calcio italiano ha reagito in modo scomposto, macchiandosi di infelici (per usare un eufemismo) commenti. Davanti a un ostracismo (impunito), però, Sara Gama non si è arresa, anzi. Ha deciso di continuare a lottare e alla sua battaglia si sono uniti in molti. Lei, che da bambina non sapeva neanche che esistesse una cosa come la Nazionale di calcio femminile, ha scoperto che la squadra nella vita è tutto, e che una vittoria è tale solo se è condivisa. 

Adesso la partita più grande, questa ragazza che sul braccio porta la fascia della capitana sia della Juventus che della Nazionale Italiana, la sta giocando come vicepresidente dell’Associazione Italiana Calciatori, dove ha portato i problemi e le istanze delle sue compagne e lavora con la determinazione dell’atleta per risolverli. Da calciatrice, Sara Gama sa che l’unico modo per vincere è farlo insieme. 

Coraggio, altruismo e fantasia

Queste, secondo una famosa canzone di Francesco De Gregori, sono le tre doti del grande calciatore. Un’immagine che calza a pennello anche a Sara, tanto nella sua versione bambina, con un Super Tele sotto al braccio mentre corre a casa dell’amico Paolo, quanto in quella che vediamo giocare oggi in tv. 

Ai tempi del Super Tele (di Batman, scolorito per il troppo uso, gliel’ha regalato il nonno), Sara è già diversa da tutti gli altri: non le piacciono i giochi che fanno le bambine della sua età e passa molto tempo a guardare su uno schermo ventidue uomini in calzoncini che inseguono un pallone, ma quando può scegliere tra ammirarlo e toccarlo, lei quel pallone preferisce di gran lunga tirarlo il più lontano possibile. E come se non bastasse la passione per il calcio, così insolita per una ragazzina degli anni Novanta, Sara è nera, anche se non le è ancora del tutto chiaro perchè questo dovrebbe essere un ostacolo. Anzi, non solo è nera, ma è anche la figlia di culture che si sono mescolate in un modo che alla gente non piace e la sua carnagione lo dimostra soltanto in parte. Sua madre è istriana, originaria di Pola. Dopo il passaggio della città alla Croazia, tutta la sua famiglia si è trasferita sul confine. Suo padre invece è congolese e forse un po’ della forza che Sara ha nelle gambe da «terzinaccio», come si descrive lei, gliel’ha data lui. Sangue di Venezia-Giulia, sangue africano, accento triestino e un rinvio che di lì a poco farà fischiare di entusiasmo i mister. 

I genitori dei bambini con cui gioca a tempo perso consigliano alla mamma di Sara di iscriverla a calcio e la sua famiglia, abituata a non tenere in gran conto i comuni pregiudizi, non si pone neppure il problema che il calcio sia considerato uno sport da maschi. Il nonno la scorrazza per tutta Trieste e la nonna in tribuna si sbraccia a fare il tifo. «La mia prima squadra era mista. Nel senso che io ero l’unica femmina in mezzo a tutti i ragazzi», ma Sara non ci fa neanche caso tanto è felice. Non le interessa nemmeno doversi cambiare nello spogliatoio dell’arbitro da sola, con la mamma. Il rispetto e la sensibilità, che in quegli anni sono ancora un miraggio, lei se li conquista lasciando indietro i suoi compagni. «Tra i bambini vige un sistema meritocratico, se sei bravo non importa nient’altro» e lei non solo è brava, ma è l’asso nella manica della squadra e il problema del genere per i primi anni quasi non si pone. Quando intorno ai dodici anni viene notata da alcuni scout, sono i dirigenti della sua società sportiva a essere i più felici, non lei. Erano loro che cominciavano a chiedersi che cosa farne di quel talento pazzesco, ora che Sara stava diventando un’adolescente che di lì a poco non avrebbe più potuto giocare con i suoi compagni. 

La proposta dei selezionatori la lascia spiazzata: « Esiste una squadra di calcio femminile? » chiede senza quasi crederci. La squadra esiste, la rassicurano, e la vuole, ma lei no. Forse, non è ancora pronta ad affrontare la questione con sé stessa: per lei la normalità è allenarsi e giocare con i suoi amici, non concepisce ancora che sono maschi e che per questo lei è diversa da loro. La proposta degli scout di partecipare a un ritiro, però, la alletta. «La mia squadra non ne faceva, giocavamo sempre in città» e così parte, più per scoprire che cos’è in effetti un ritiro che per vedere come funziona una squadra composta da sole ragazze. 

Da principio Sara è diffidente. Con le bambine di solito non gioca a calcio. Tra le montagne del ritiro, invece, avviene la magia. Trova calciatrici brave quanto lei, con cui divertirsi e riuscire a condividere per la prima volta la passione per lo sport. In quel ritiro stringe nuove e importanti amicizie che resisteranno negli anni. «È stato un microtrauma» da cui non è più possibile tornare indietro: con grande dispiacere, Sara adesso vede la propria strada e decide di lasciare i vecchi amici per tuffarsi in una nuova esperienza. 

«Sono stata molto fortunata» dice, quasi commossa, ripensando a quel momento. Cresce, gioca e studia, tutto insieme. Si diploma al liceo scientifico e qualche anno dopo si laurea in Lingue e Letterature straniere. D’altra parte per Sara il futuro è un’incognita e bisogna prepararsi ad affrontarlo: per quanto lei adori quel pallone, la verità è che le ragazze non giocano a calcio e quindi sarebbe da folli sperare che quella passione diventi un lavoro. Infatti, la prima volta che una squadra le offre cento euro come compenso mensile complessivo valido come rimborso spese, Sara quasi non ci crede. Qualcuno la paga per giocare a calcio! 

Ma le sorprese sono appena cominciate…

(continua in libreria…)

Fonte: www.illibraio.it

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