Da piccola preferivo le streghe

Ilaria Tuti | 06.03.2018

"C’è qualcosa di mistico nelle interconnessioni genetiche che ci rendono sorelle, tutte figlie della donna che più di centomila anni fa generò la nostra genealogia: l’Eva mitocondriale, un’unica antenata comune nei geni di tutte le donne. Un ramo vegetativo che non si è mai esaurito e che rappresenta l’albore del genere femminile della nostra specie". La scrittrice Ilaria Tuti parla di quelle inquiete figlie di Eva a cui le donne dovrebbero aspirare, da Letizia (Battaglia) a Samantha (Cristoforetti), da Alda (Merini) a Margherita (Hack). Con l'augurio di migliorarsi e ricominciare ogni giorno...


C’è qualcosa di mistico nelle interconnessioni genetiche che ci rendono sorelle, tutte figlie della donna che più di centomila anni fa generò la nostra genealogia: l’Eva mitocondriale, un’unica antenata comune nei geni di tutte le donne. Più forte, più adatta delle altre a sopravvivere, fu la sola delle sue contemporanee a portare avanti la propria discendenza nei millenni, fino a noi. Un ramo vegetativo che non si è mai esaurito e che rappresenta l’albore del genere femminile della nostra specie.

Potenza primigenia, Eva palpita in noi e riecheggerà nelle nostre figlie.

A volte cerco di immaginarla, con gli occhi romantici della narratrice di storie, più che con quelli razionali che il rigore scientifico richiederebbe. Una giovane donna vigorosa, che superando una selezione spietata è diventata a sua insaputa madre dell’umanità, progenitrice di una stirpe ancora vivente. La natura l’ha scelta e consacrata all’immortalità, facendola rivivere in miliardi di donne. Ne ha mutato i colori e le fattezze, lasciando però inalterato il cuore genetico che è stato tramandato pressoché immutato. Le sue tracce non sono sul nostro viso, ma dentro di noi.

Eva risuona nelle sue figlie come un basso profondo. È la nota che vibra quando mutiamo pelle per superare difficoltà che sembrano atterrirci, ma restiamo comunque fedeli al nostro centro. Eva è l’inquietudine che ci fa compiere passi che altrimenti non avremmo osato fare, ma che portano ogni volta un po’ più lontano. Questa inquietudine è la chiave di volta dell’evoluzione, fa scorgere strade dove gli altri vedono solo paludi e spiccare balzi per superare orridi. Corrono veloci, le figlie di Eva. Alcune più di altre. A loro, a queste donne caparbie e combattive, è sempre andata la mia ammirazione. Spesso precorritrici dei tempi, sanno essere diverse dagli schemi che altri impongono, pagando il prezzo della disobbedienza.

Da bambina giocavo a fare la guerriera, non la dama. Quando leggevo le fiabe, erano le streghe ad attirare la mia curiosità, non le principesse. Guerriere e streghe avevano il fascino della libertà, erano ribelli, ma scontavano i propri errori fino all’ultimo, e non c’era mai qualcuno che si fosse messo in cammino per salvarle con un bacio. Erano donne che si salvavano da sole, o fallivano. Ma anche nella loro caduta intravedevo splendore, quello dell’indipendenza. Donne inquiete, che non hanno mai accettato limiti. Sono cresciuta, le fiabe hanno lasciato il posto alla vita reale, ma i miei riferimenti non sono cambiati.

E così cerco ispirazione, non solo per le mie storie, ma soprattutto per me stessa, in altre donne che hanno già percorso i sentieri delle scelte meno convenzionali, i più faticosi. Donne che magari hanno passato la vita a cadere e a rialzarsi. Giovani, mature. Comunque accomunate da uno spirito indomito che non tollera briglie. Donne forti, ma che spesso hanno dovuto scontare una profonda sofferenza prima di diventare ciò che sono, perché forza non significa impermeabilità al male: è la capacità splendidamente umana di risorgere dalle proprie ceneri. Più stanche, disincantate e ammaccate, ma intense, presenti con il cuore.

“In un periodo della mia vita ho cominciato a fotografare e sono diventata una donna più sicura. Per lo meno non ero più disperatamente insicura”: lo ha detto Letizia Battaglia, la più grande fotografa italiana, artista dalla sensibilità straordinaria e donna inquieta, come lei stessa si definisce.

Mi ritrovo nelle sue parole, ora più che mai. Nell’arte Letizia ha trovato piena realizzazione quando aveva quasi quarant’anni, tre figlie già grandi, una vita da reinventare e il buio dentro: si è salvata, ha preso coscienza di sé, ha sentito di cominciare finalmente ad appartenersi. Il suo coraggio e la sua determinazione nell’intraprendere strade fino a quel momento non percorse da donne – è stata la prima fotografa a essere assunta da un quotidiano in Italia, nel 1974 – mi guidano oggi come quando ero un’adolescente esitante e ammiravo le sue opere. La sua esperienza è un invito a cercare i propri spazi in luoghi dell’anima che devono restare sacri e a portarli nella vita di ogni giorno. È uno sprone a ricominciare, da qualsiasi punto e a ogni età.

Ma non c’è solo Letizia. Le figlie inquiete di Eva hanno nomi dolci e spiriti indomiti, da sempre inseguitrici di grandi visioni: Bebe (Vio), Lucia (Annibali), Samantha (Cristoforetti), Margherita (Hack), Teresa (Sarti), Alda (Merini), Artemisia (Gentileschi), Christine (de Pizan)…  e che ognuna di noi, leggendo, aggiunga il suo, perché ogni giorno che viviamo possa essere eccezionale.

Coltiviamo l’inquietudine che ci fa cercare nuovi modi di essere, troviamo uno spazio ospitale dentro di noi in cui nutrire i nostri sogni. Siamo sempre le prime alleate di noi stesse, e se dovesse affacciarsi la paura di non farcela, ricordiamoci che le grandi esistenze si rivelano sempre nelle difficoltà.

Non ci avventuriamo sole in questo percorso, siamo in tante. Lasciamoci ispirare da chi sentiamo più affine, guardiamo con ammirazione le donne che ci hanno preceduto nel grande balzo: quello che porta alla realizzazione delle aspirazioni più care e intime, ai sogni che elevano le esistenze e rendono il quotidiano – qualunque esso sia – straordinario.

Ricordiamoci da dove veniamo. Ricordiamoci di Eva.

Ilaria Tuti fiori sopra l'inferno

L’AUTRICE E IL SUO PRIMO ROMANZO – Fiori sopra l’inferno (Longanesi) segna il debutto nel thriller di Ilaria Tuti. L’autrice, che vive in Friuli, in un paesino alle pendici di una montagna, ha tra i suoi riferimenti letterari maestri del genere come Stephen King e Donato CarrisiUna serie di aggressioni a sfondo sadico che turbano la quiete di un paesino delle Dolomiti friulane. Alcune vittime muoiono in seguito alle ferite. Tra i boschi e le pareti rocciose a strapiombo, infatti, si nascondono non pochi segreti. A intervenire sarà Teresa Battaglia, commissario di polizia specializzato in profiling: la sua vera arma è la mente, non la pistola e nemmeno la divisa. Per la prima volta, però, è proprio la sua mente a tradirla… il commissario dovrà cercare faticosamente un nuovo equilibrio per comprendere appieno la psicologia del killer e provare a salvare l’ultima vittima…

Fonte: www.illibraio.it

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