Il romanzo storico e la fame del lettore

Fabiano Massimi | 13.05.2021

"Tutti noi abbiamo fame di Storia. Tutti noi abbiamo fame di storie. Il romanzo storico ci sfama due volte, riempiendo allo stesso tempo la nostra testa e il nostro cuore...". In occasione dell'uscita del suo nuovo romanzo, "I demoni di Berlino", su ilLibraio.it la riflessione dello scrittore Fabiano Massimi


Quando si scrive un romanzo, uno dei pensieri ricorrenti (uno degli assilli) è perché? Perché raccontare una certa storia? Ma anche: perché raccontare una storia? E in generale: perché raccontare? Scrivere è un’impresa lunga e solitaria, che si nutre dell’entusiasmo ma anche delle paure di chi si mette all’opera, e a volte queste paure finiscono per incagliare l’opera in secche da cui è difficile uscire. La determinazione vacilla, l’autostima è messa in dubbio, la sindrome dell’impostore si fa avanti.

Perché stai raccontando questa storia?

Perché stai raccontando una storia?

Perché stai raccontando?

A queste domande si può rispondere in molti modi, e ogni scrittore ha il suo (o i suoi, perché a volte è utile cambiare gioco, anche in corsa), ma c’è un genere letterario che offre un’arma in più per difendersi da cali di fiducia, di tensione, di motivazione: il genere storico.

Scrivere una storia tratta dalla Storia è un gesto quasi auto-giustificato, perché tutti, da sempre, sappiamo che si racconta qualcosa per preservarne la memoria. Non importa se quel qualcosa è inventato – se Emma Bovary o Zeno Cosini non sono mai esistiti, se Hogwarts o Macondo non compaiono su alcuna mappa –, lo scopo di chi scrive è sempre trasmettere una vicenda memorabile. E cosa c’è di più memorabile del passato, qualcosa che è successo davvero e il cui ricordo è fondamentale anche per capire come siamo arrivati fin qui? In una celebre poesia Montale dice che “la storia non è magistra di niente che ci riguardi”, ma lo dice per paradosso, perché la Storia è maestra eccome, e lo sapeva anche lui: chi non conosce la storia è condannato a ripeterla, ha scritto un filosofo, e il poeta sarebbe stato d’accordo.

Quante volte un bel romanzo, iniziato con il sano proposito di intrattenerci e passare qualche ora altrove (la sacrosanta fuga del guerriero, come la chiamava Tolkien), ci ha fatto conoscere vicende o personaggi storici dimenticati? E quante volte anche di figure o eventi noti abbiamo scoperto lati nuovi, inediti, persino rivoluzionari grazie al talento di un narratore? Senza La lista di Thomas Keneally, un oscuro autore australiano capace di ispirare il miglior Spielberg, non sapremmo nulla di Oskar Schindler e degli ebrei che salvò nella Cracovia occupata. Senza La cruna dell’ago di Ken Follett solo gli storici ricorderebbero l’”armata immaginaria” che consentì lo sbarco in Normandia.

Ma alzi la mano chi aveva idea di come si svolgesse la vita in un monastero medievale e nei suoi scriptoria prima di incontrare Il nome della rosa. Si faccia avanti chi ricordava la vicenda, incredibile eppure vera e vicinissima, dei bambini di Napoli ospitati da famiglie comuniste del Nord e del Centro Italia subito dopo la guerra. Senza Il treno dei bambini di Viola Ardone non l’avrei saputo nemmeno io che a Modena, uno degli epicentri dell’iniziativa, ci vivo.

Senza Monaco di Robert Harris non avrei conosciuto la verità sull’ignominioso patto tra Chamberlain e Hitler; senza Splendore e viltà di Erik Larson non avrei vissuto un anno intero nella vita di Churchill (e di Londra) sotto i bombardamenti nazisti; senza Ildefonso Falcones e il suo Il pittore di anime non avrei assistito al fermento rivoluzionario e artistico della Barcellona di inizio Novecento; senza La chimera di Sebastiano Vassalli avrei ignorato che le cacce alle streghe si tenevano anche dalle mie parti, non solo a Salem o a Parigi o sotto l’Inquisizione spagnola; senza I leoni di Sicilia di Stefania Auci, “Florio” sarebbe rimasto il nome di un liquore e di una gara automobilistica. Quanto, della ricchezza della Storia, mi sarei perso se non avessi letto quei romanzi? Miravo a intrattenermi, e mi sono ritrovato in mano mondi.

Mentre scrivo, Antonio Scurati sta riraccontando in una trilogia poderosa l’ascesa al potere di Benito Mussolini, con una forza e un’efficacia che mai si erano viste fuori dalla saggistica specializzata. Il premio Strega e le centinaia di migliaia di copie vendute faranno per la conoscenza popolare del Fascismo più di quanto non siano riusciti decenni di studi e documentari, e non per mancanze di questi. È che le storie arrivano più in profondità della storiografia. Possono trasmettere non solo le vicende, ma anche le sensazioni, coinvolgendoci personalmente. In altre parole: Italiani brava gente? ricostruisce gli orrori della colonizzazione italiana, M. Il figlio del secolo ci trasporta dentro il lettore, glieli fa vivere in prima linea, trascinando, emozionando, divertendo – un compito fondamentale della letteratura sin dai tempi di Omero, e il modo più incisivo che abbiamo trovato per tramandare esperienze.

L’APPUNTAMENTO CON “LIBIVE” SULLA PAGINA FACEBOOK DE ILLIBRAIO.IT – Il 19 maggio alle 18 Fabiano Massimi dialoga con Ildefonso Falcones

Così il romanzo storico diventa un mezzo conoscitivo privilegiato per ciò che siamo stati e ancora siamo, e non è un caso che trovi sempre più spazio in libreria. Tutti noi abbiamo fame di Storia. Tutti noi abbiamo fame di storie. Il romanzo storico ci sfama due volte, riempiendo allo stesso tempo la nostra testa e il nostro cuore. 

I demoni di Berlino, Fabiano Massimi

L’AUTORE E IL LIBRO – Fabiano Massimi (in copertina, nella foto di Yuma Martellanz, ndr) è nato a Modena nel 1977. Laureato in Filosofia tra Bologna e Manchester, bibliotecario alla Biblioteca Delfini di Modena, da anni lavora come consulente per alcune tra le maggiori case editrici italiane. Collaboratore de ilLibraio.it, nel 2020 ha pubblicato L’angelo di Monaco (Longanesi), l’esordio italiano più venduto alla Fiera di Londra 2019 e che gli è valso il Premio Asti D’Appello.

Ora torna in libreria con I demoni di Berlino, romanzo nel quale il commissario Sigfried Sauer è questa volta alle prese con il misterioso incendio doloso del Reichstag di Berlino, mai raccontato prima in un thriller. Il 27 febbraio 1933, infatti, un incendio doloso distrugge il Palazzo del Reichstag, sede del Parlamento tedesco, e sulla scena, in un tempo troppo breve, giungono Adolf Hitler e Hermann Göring che non perdono tempo a indicare come colpevoli dell’attentato i comunisti e a trovare un capro espiatorio nell’oggi dimenticato Marinus Van der Lubbe.

Nell’arco di poche ore, il segretario del sempre più potente partito nazionalsocialista chiede e ottiene lo stato di emergenza. E, pochi mesi dopo, vince le elezioni con una maggioranza risicata che gli consegna i pieni poteri. Ma chi ha ordito davvero la trama dell’attentato che ha scatenato la concatenazione di eventi più tragica della storia dell’umanità?

L’unico a conoscere la verità è un uomo che ora vive a Vienna e lavora come custode, ma un tempo era noto come commissario Sigfried Sauer, della polizia di Monaco. Poche sere prima dell’Incendio Sauer è stato attirato a Berlino da una vecchia conoscenza, perché Rosa, la donna di cui è innamorato, è sparita nella capitale del vizio. Mentre l’ex commissario prova a rintracciare Rosa e a sciogliere le intricate trame tessute dalle forze politiche in lotta, la Storia irrompe con violenza nelle loro vite.

Fonte: www.illibraio.it

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