L’editore: “Perché è giusto pubblicare il libro di Raffaele Sollecito”

Giuseppe Strazzeri | 14.09.2015

"Da editore mi ferisce particolarmente vedere i bassi istinti allignare anche tra lettori di libri...". A ottobre, a otto anni dall'omicidio di Meredith Kercher, sarà in libreria "Un passo fuori dalla notte": il libro, destinato a far discutere, di Raffaele Sollecito (reduce dall'assoluzione definitiva del marzo scorso). E mentre in rete (e non solo) sono già partite le polemiche, su ilLibraio.it il direttore editoriale della Longanesi Giuseppe Strazzeri difende (e motiva) la scelta di pubblicare il volume di un ragazzo "che tenta di riconquistare agli occhi dei suoi connazionali quell’umanità che gli è stata finora ostinatamente negata", e che "si deve confrontare quotidianamente con l’immagine deforme, semplicemente perché fasulla, del figlio di papà, dell’anaffettivo senza rimorsi, del manipolatore o del manipolato..."



«È facile, scampanando retorica e solleticando un mai sopito plebeismo, fare apparire una vittima come un privilegiato.»
Così si esprimeva Leonardo Sciascia sul Corriere della Sera del 3 agosto 1985.

Parto da una premessa: i bassi istinti esistono. Non bisogna vergognarsene. Li abbiamo tutti, a volte. Meglio dirselo con onestà per riuscire a gestirli quando, di tanto in tanto, ne siamo preda. Uno di questi è il sasso scagliato mentre si sta comodamente seduti in poltrona, la sentenza sputata senza riflessione e senza rischio personale, il forcaiolismo da bar, l’esclamare altisonanti e compiaciuti “dovrebbero buttare la chiave”, o “tutti al muro” guardandosi intorno per vedere che effetto hanno prodotto le nostre indignate parole. Non importa se il nostro giudizio è affrettato e irrazionale, se poggia su nient’altro che sensazioni di pancia o, peggio, su un omogeneizzato mediatico che abbiamo passivamente ingerito crogiolandoci nell’illusione di avere un parere personale. E facendoci tranquillamente dimenticare che il nostro sputo, il sasso, l’insulto, erano scagliati contro delle persone.

Sono un editore e non sono affatto certo di sapere cosa siano la Letteratura o la Cultura con la maiuscola, cosa è bene leggere e cosa no, e ritengo questo un valore che mi conserva curioso e lontano dai preconcetti (a differenza invece dei tanti che sembrano saperlo benissimo e che invitano di volta in volta allo sbeffeggio di questo o quel libro che ovviamente si pregiano di non avere letto “perché è spazzatura” o perché è “una bieca operazione commerciale”). Proprio perché sono un editore, ritengo invece di sapere che cosa è un libro. I libri sono il luogo in cui non c’è posto per l’invettiva senza volto, per l’insulto gratuito. Il libro è parola scritta, ponderata. Un libro è un veicolo di idee, ma non necessariamente delle idee che ci piacciono o che già condividiamo. Il libro è un condensato di emozioni, ma non necessariamente quelle che approviamo. Un libro è un veicolo di valori, ma non necessariamente quelli in cui crediamo. Un libro è una storia. Possiamo scegliere di ascoltarla o meno, ma se ci arroghiamo il diritto di negarle dignità di storia senza neppure conoscerla, allora siamo censori, non lettori. Da editore mi ferisce perciò particolarmente vedere quel basso istinto cui accennavo sopra allignare anche tra lettori di libri e prendere in qualcuno la forma di reazioni indignate di fronte alla notizia della pubblicazione, ai primi di ottobre, di Un passo fuori dalla notte di Raffaele Sollecito, per i tipi di Longanesi. Perché quello di Raffaele Sollecito è, a pieno diritto, un libro e come tale si consegna al pubblico: è una storia personalissima ed emotiva, è una vicenda che suscita domande e sconcerto, è uno spinoso capitolo della nostra storia civile. E’ il racconto di una giovane vita che ha attraversato in meno di un decennio esperienze che ben pochi di noi avranno la sorte di avere nel corso di un’intera esistenza.

Spesso si dice che l’autore non conta, conta l’opera: mi permetto un’ulteriore riflessione. Ho trascorso a fianco di Raffaele Sollecito alcune settimane. Lui probabilmente, anzi ora ne ho la certezza, ha fatto lo stomaco alla gente che lo vede e sobbalza, ai sussurri compiaciuti e agli sguardi maliziosi di chi lo riconosce per strada, alle richieste di selfie (sì, anche quelle) negate con imbarazzata timidezza. Io no. Lui, riconosciuto innocente oltre ogni ragionevole dubbio delle accuse che gravavano su di lui, ha fatto il callo all’essere agli occhi dell’opinione pubblica il Mostro che l’ha fatta franca, il satanista, il violento, anche se un colpevole accertato c’è, e in carcere e sta scontando la sua pena. Io no. Lui ha dovuto sopportare sei mesi in isolamento, quattro anni in carcere e otto anni di vita, dai 22 ai 31, da un processo spettacolo all’altro, fino a un’assoluzione che ha evidenziato senza ombra di dubbio le storture che pesano sul suo caso e sul sistema giudiziario italiano. Lui si deve confrontare quotidianamente con l’immagine deforme, semplicemente perché fasulla, del figlio di papà, dell’anaffettivo senza rimorsi, di volta in volta del manipolatore o del manipolato.

Raffaele Sollecito, ferito ma non piegato, attraverso questo libro cerca di riappropriarsi con umiltà e fermezza della propria storia. E tenta di riconquistare agli occhi dei suoi connazionali quell’umanità che gli è stata finora ostinatamente negata. Per queste ragioni ho detto, e qui ripeto, che il suo è un libro necessario. O siamo forse un paese che è avidamente alla ricerca di colpevoli ma che non sa che farsene dell’innocenza?

Indipendenza, assenza di pregiudizio, anticonvenzionalismo sono valori fondativi della casa editrice in cui lavoro. Sono valori che di certo non ho inventato io, ma con orgoglio li condivido. Il libro di Raffaele Sollecito in uscita presso Longanesi corrisponde esattamente a questi valori. Il giudizio ai lettori, nel senso di coloro che avranno la pazienza, il desiderio, la curiosità di leggere quello che Raffaele Sollecito ha da dire. Il resto è affare di censori , farisei e benpensanti. Quindi, per quel che mi riguarda, non è materia di chi nei libri crede.

E infine, per lasciare l’ultima parola a chi molto prima e molto meglio di me, riferendosi a un altro tormentato processo, quello a Enzo Tortora, ha espresso concetti di civiltà irrinunciabili per il nostro paese, pubblicare il libro di Raffaele Sollecito ha un senso preciso e urgente non foss’altro che per questa ragione: «per difendere il nostro diritto, il diritto di ogni cittadino, a non essere privato della libertà e a non essere esposto al pubblico ludibrio senza convincenti prove della sua colpevolezza.» (Leonardo Sciascia, Il Corriere della Sera, 14 ottobre 1983)

Sollecito

 

Fonte: www.illibraio.it

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