Intervista a Wilbur Smith autore di Il destino del cacciatore ISBN:9788830425088
Con Il destino del cacciatore Wilbur Smith torna ai temi, ai luoghi e ai personaggi più amati dai lettori in un romanzo che celebra il trionfo della terra africana, le grandi passioni e l’amore per l’avventura. Siamo alla vigilia della Grande Guerra. Leon Courteney è un valoroso sottotenente dei King’s African Rifles che, grazie alla collaborazione dei Masai, diventa un’ esperta guida di personaggi importanti. Ma l’appartenenza di Leon all’esercito di Sua Maestà lo porterà a essere protagonista di un gioco molto rischioso. In un entusiasmante crescendo si riveleranno i diabolici intrighi internazionali con cui, dal cuore profondo dell’Africa, magnati, avventurieri e nobildonne sembrano decidere le sorti del Vecchio Continente. Ce ne ha parlato l’autore stesso, Wilbur Smith.
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D. Il destino del cacciatore rivela una profonda conoscenza della vita dei Masai. Nella loro cultura i riti e la caccia hanno la funzione di rafforzare il senso di appartenenza al gruppo e di sottolineare il prestigio sociale ottenuto: è così diverso per l’uomo occidentale?
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R. I Masai sono uno dei popoli dell’Africa che conosco meglio: sono esperti cacciatori, ottimi conoscitori del territorio, un popolo fiero delle proprie tradizioni. Una delle cose che mi impressiona sempre molto positivamente è il loro senso dell’umorismo, che però è comune a tutti gli africani. Di noi dicono che siamo il popolo del ghiaccio mentre loro amano definirsi il popolo del sole. Come dargli torto? Le loro famiglie sono molto diverse dalle nostre. Decine, anche centinaia di membri che si aiutano e si sostengono a vicenda. Non hanno la tendenza ad accumulare ricchezza né a costruirsi una carriera e i bambini vengono cresciuti a carico della tribù. Quando crescono poi verranno portati a sviluppare un forte attaccamento per la comunità. Certamente nel mondo di oggi la gioventù Masai è stata fortemente detribalizzata. Cento anni fa era molto diverso. Pensi anche a un italiano: cento anni fa era più consapevole di essere italiano di quanto lo sia oggi. Così un africano cento anni fa sapeva di appartenere a una tribù specifica, a un villaggio. Oggi al massimo c’è un grande villaggio globale. I riti di iniziazione sono ancora molto importanti nelle comunità più piccole. C’è un elemento morale molto forte: i giovani attraverso questi riti imparano a sentirsi parte responsabile della comunità, al gruppo cui vengono iniziati. Ma ai giorni nostri questi riti si stanno perdendo in Africa.
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D. Nel libro il protagonista è guida di personaggi importanti e facoltosi che, entrando in contatto con la natura incontaminata, con le difficoltà e le fatiche della caccia, sembrano abbandonare il proprio contegno per entrare in contatto con parti di sé più primitive e nascoste: si può dire che la caccia e il contatto con la terra spingano a rivelare la propria natura?
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R. Il contatto con la natura selvaggia è l’elemento più importante dei miei libri. Cacciare è solo uno dei modi possibili per vivere immersi nella natura, e anche preservarla se si tratta di caccia controllata. È un modo per allontanarsi dalla civiltà ed entrare in zone dove la vita è completamente diversa. Credo che nell’uomo di oggi sia ancora vivo il desiderio atavico per questo tipo di vita, il bisogno di cambiare i nostri ritmi frenetici con ritmi più naturali. L’uomo è nato cacciatore è anche quello moderno e civilizzato lo è, a modo suo.
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D. Fin dalle prime pagine il rapporto di amicizia tra il protagonista e il fedele Manyoro non passa inosservato. Proseguendo la lettura vediamo che Leon instaura altri legami di questo tipo. Le donne che compaiono nel libro invece risultano fondamentalmente sole: quali sono le differenze tra l’amicizia maschile e quella femminile?
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R. Il destino del cacciatore è incentrato sulla vita maschile. Descrivo un’esistenza maschile perché è quella che conosco meglio. La vita durante la caccia, i riti dei Masai, l’amicizia con i tracciatori delle piste. Leon all’inizio è molto giovane, non sa nulla delle donne, assomiglia molto a quello che ero io alla sua età. Eva a confronto delle donne che ho conosciuto ha una parte molto maschile del proprio carattere: sa pilotare un aereo, salverà un Masai. Questo capita nella finzione, mentre le donne che ho conosciuto sono molto diverse. Le donne sono creature affascinanti, incredibili. Il rapporto che le donne riescono a creare nella cerchia delle proprie amicizie femminili per gli uomini non è possibile. Le donne sono come delle formichine: fortissime e determinate, capaci di capirsi anche solo guardandosi.
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D. In forte contrasto con la vegetazione rigogliosa e con i fieri animali della savana, irrompono sulla scena veicoli, aeromobili e un enorme dirigibile, che al protagonista sembra dotato di una mostruosa vita propria. Il mondo naturale e quello delle macchine sono così inconciliabili?
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R. Nelle parti più selvagge dell’Africa come puoi arrivare? Il mondo sta cambiando… quando andavo a caccia con mio padre ci muovevamo soprattutto a piedi, con i cavalli. Spesso l’avvicinamento era faticoso, estenuante come o più della caccia stessa. È inevitabile che i mezzi di trasporto siano cambiati anche in Africa, inevitabile che la tecnologia tocchi anche questo paese anche se con ritmi e modalità completamente diversi da una città come Londra, dove ho una casa, e dove vivo parte dell’anno.
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D. Nel Trionfo del sole i discendenti dei Courteney e dei Ballantyne si erano incrociati, anche nel Destino di un cacciatore le due famiglie sono legate: è l’inizio di un nuova saga?
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R. Non ho mai pensato ai miei libri come a singoli episodi di una saga. Amo pensare che ogni mio libro viva di una vita propria. Spesso mi chiedono ad esempio qual è tra i miei personaggi quello che preferisco. Non ho preferenze. Taita è un personaggio che amo molto, ma Sean Courteney è stato uno dei miei primi personaggi e gli sono molto legato. Il destino del cacciatore non è l’inizio di una nuova serie che unisce le due famiglie. È una storia che andava scritta, ambientata in un periodo storico che amo molto e che conosco molto bene. Scrivo soltanto dell’Africa che conosco, un paese che purtroppo appartiene al passato.
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Fonte: www.illibraio.it
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