Nel nuovo romanzo di Ilaria Tuti, "Madre d’ossa", il presente della profiler Teresa Battaglia è governato dall’Alzheimer che progredisce. La nuova indagine del commissario porta alla luce un’eredità di sangue e credenze, culti, leggende e riti pagani. Se le grotte sono ventri, è il sentimento atavico della maternità che aleggia nella trama, fatta di donne gravide di futuro e di paura, di madri bambine...
Occhi sperduti, confusione, frustrazione: il presente di Teresa Battaglia è governato dall’Alzheimer che progredisce, aggredendola di sorpresa. È il buio addosso, in quei momenti, improvviso, terrificante: le impedisce di riconoscere se stessa allo specchio, le annulla ogni nozione, la spaventa.
Teresa urla, di paura e di rabbia, per la sua mente che non fissa più i ricordi, non conosce più il suo nome. Le è rimasto solo un oggi instabile, vuoto, da quando si è ritirata a vita privata. Nei suoi incubi ci sono diavoli vampiro e angeli di luce, ma nelle sue giornate ci sono sempre i suoi ragazzi, Parisi, De Carli e soprattutto Massimo Marini. Hanno imparato l’arte di non farla sentire sbagliata, non la abbandonano mai, fanno scudo, squadra, famiglia.
Cercare di rallentare la discesa inevitabile è il compito da svolgere come si può, Teresa con l’ostinazione di non perdere se stessa, Massimo con una dolcezza malinconica, che riesce a mascherare con ironia. L’ha seguita senza indugio, consapevole che quel presente distorto, minato dalle esplosioni della malattia, è il loro nuovo essere insieme.
“«Come stiamo oggi? Il nome lo ricordiamo?»
Lei lo guardò con quell’aria sdegnata che Massimo aveva imparato ad amare. Quella piega all’ingiù delle labbra che si sarebbe portato nel cuore, che all’inizio lo spaventava, e invece poi, conoscendo Teresa, era diventata solo buffa, ma mai glielo avrebbe detto.”
Per questo, quando a seguito di una telefonata anonima si ritrova sulla riva di un lago, davanti al cadavere di un ragazzo e a Teresa, sporca di sangue e confusa, Massimo non ha incertezze, altera gli indizi, protegge Teresa e si mette al suo fianco in quella che sembra un’indagine su se stessa.
Madre d’ossa di Ilaria Tuti (Longanesi) è un viaggio negli enigmi della vita e della memoria: scoprire il mistero che la vede protagonista vuol dire per Teresa Battaglia attraversare la notte, calarsi nei sotterranei del suo tempo sfilacciato.
Ma se per lei recuperare pezzi del suo passato è vitale per continuare a vivere nel presente, c’è chi del proprio passato ha fatto un’ossessione e una venerazione che inducono a studiare i dettagli di un inspiegabile suicidio. È una caccia che non può fare da sola, e che la porta a tracciare una linea di sangue che ha origini nel tempo più remoto.
In paesi di confine ricchi di arcani e miti, dove Paganesimo e Cristianesimo si sono fusi per sempre, Teresa e Massimo si trovano a indagare nel cuore degli ipogei, nelle grotte, tra le sepolture longobarde, tra pugnali, ossa e bracciali, teche che contengono i resti di morti inquiete, giù, nel ventre della terra.
L’indagine porta alla luce un’eredità di sangue e credenze, culti e leggende, riti pagani, sulle tracce di simbologie che affioravano dai millenni della storia umana, indietro fino agli script paleolitici.
“Massimo si chinò a esaminare la figura. Sapeva qual era il suo significato profondo, glielo aveva insegnato Teresa: il continuum vitale, la ciclicità di ogni esistenza. Acqua sacra, quella del grembo materno.”
Nel caos della malattia, per Teresa l’ordine è un bisogno, un gesto di ricomposizione per riportare pensieri e ricordi allo stato originario, ma l’inferno è un luogo umano, abitato dal disordine, e porta con sé una natura feroce. Là dove il canto del diavolo risuona nella bruma portato dal vento, e dove le fanciulle hanno scapole alate, c’è un dolore che la riguarda direttamente e che emerge dal passato: quello che pulsa sotto la cicatrice che ricorda a Teresa lo strazio della sua maternità mancata. Se le grotte sono ventri, è il sentimento atavico della maternità che aleggia nella nuova storia di Ilaria Tuti, fatta di donne gravide di futuro e di paura, di madri bambine, e madri fantasma da inseguire negli anni, di figli che soggiacciono al destino, di grembi che portano redenzione, di creature venerate, di vite recise, di chiavi dell’eternità.
“Era forse il Leitmotiv della sua esistenza: cum-patior, soffrire con l’altro, chiunque fosse, anche il demonio. Le cadute rovinose ridestavano la sua empatia, non poteva farci niente, probabilmente perché lei stessa era caduta molte volte, e da quell’ultimo capitombolo non si sarebbe più rialzata.”
Obbligata a ridefinire per necessità i suoi strumenti di lavoro, Teresa fa affiorare il suo lato più istintivo e empatico, animale, capace di fiutare il sangue e al tempo stesso di andare alla ricerca di un sentimento, un indizio dell’anima, dimostrando a se stessa quanto si può essere madre.
Accanto a lei Massimo, il figlio non del corpo ma del cuore, è diventato grande, capace di incoraggiamenti, di affetto: non accetta di lasciarla andare, con l’ostinazione che da lei ha imparato, o ereditato.
Madre d’ossa è venato di un dolore nostalgico, che risuona di quella genitorialità che i figli adulti imparano quando ci si inizia a scambiare i ruoli, e ci si prepara a perdere pezzi di vita e di cuore.
Tra Cividale e Venzone, tra mummie, catacombe e riti che legano il presente e il passato, l’indagine diventa un abisso di archeologia e mistero selvaggio, dove lo scibile non si separa dalla credenza, dove giacciono i segni primordiali dell’umanità e dove il retaggio è l’altare a cui fare sacrifici per separare i vivi dai morti, per dominare l’eternità.
“Teresa scese i gradini sdrucciolosi aggrappata al passamano. Le gambe erano malferme, non a causa della discesa ripida, e nemmeno per il soffio umido che sembrava provenire dal fondo. L’ipogeo era una bocca che la inghiottiva, un luogo colmo di misteri ancora da sciogliere. Ora ne conteneva uno in più, e la riguardava.”
Dopo i tanti casi, da Fiori sopra l’inferno a Figlia della cenere, quello di Teresa è un viaggio senza ritorno, e lei lo sa. Ilaria Tuti infonde nella storia un’oscurità sinistra ed eccitante, dando forma agli spiriti maligni, a creature che appartengono al mistero, al fiato oppressivo di un addio imminente, a una sacralità fosca, e insieme arricchisce le pagine di sfumature di commozione, mesta e preziosa, di moti e pensieri delicati, piccoli gesti che uniscono slancio e sofferenza, come per una madre che se ne sta pian piano andando, e lo fa regalando libriccini dalle pagine bianche. Un lascito per fermare il tempo.
Fonte: www.illibraio.it
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