Schwa: cos’è, come si legge e come si usa (e perché se ne discute)

Eva Luna Mascolino | 01.03.2023

Cos’è "lo schwa"? Quali sono le sue caratteristiche e in che modo si è inserito ai nostri giorni nella più ampia discussione relativa alle questioni di genere e all'inclusività nella lingua? Un percorso per orientarsi nell'argomento ed entrare nel dibattito in corso


Sempre più spesso, negli ultimi anni, capita di imbattersi in contenuti testuali in cui compare una sorta di “e” rovesciata detta schwa (ə), tanto sui social network quanto sui giornali, tanto nei saggi quanto nelle pubblicità.

Non per niente, sulle sue modalità d’uso, ma soprattutto sulle sue connotazioni, sui suoi significati e sui suoi limiti, si è cominciato a dibattere animatamente sia fra i sostenitori sia fra i detrattori, il che ha reso la questione dello schwa un argomento spesso spinoso e divisivo.

Per orientarsi al riguardo e capire più nel dettaglio di cosa stiamo parlando, ecco allora un sintetico percorso in cui viene chiarito cosa sia lo schwa, quali siano le sue caratteristiche e in che modo si sia inserito ai nostri giorni nella più ampia (e centrale) discussione relativa alle questioni di genere e all’inclusività nella lingua italiana…

Cos’è lo schwa? Storia e caratteristiche

Cominciamo dai fondamentali: quando parliamo di schwa, ci riferiamo in linguistica a un suono vocalico medio, non arrotondato, che viene utilizzato quotidianamente in alcune aree del mondo e che, nell’alfabeto fonetico internazionale (IPA), viene rappresentato per convenzione con il simbolo “ə”.

In altre parole, si tratta di solito di una vocale caratterizzata da un suono a metà strada fra le altre vocali esistenti, la cui pronuncia è quindi conosciuta da secoli da milioni di parlanti e che possiamo riscontrare anche all’interno di alcune lingue a noi familiari (come l’inglese o il francese), nonché in certi dialetti del Centro e del Sud Italia quali il napoletano, il barese o il siciliano.

Il suo nome, derivato dall’ebraico medievale shav, potrebbe voler dire niente, mentre secondo altre teorie linguistiche è più plausibile che il suo significato sia sinonimo di uguale, di pari. Come che sia, identificarlo con il simbolo di una vocale breve è stato per primo il linguistica tedesco Johann Andreas Schmeller (1785-1852) nel XIX secolo, che lo ha associato a un simbolo inventato dell’alfabeto latino.

Dopodiché, è stato mutuato dallo studioso di fonetica Alexander John Ellis (1814-1890), che se ne è servito per identificare una vocale indistinta della lingua inglese, mentre il linguista svizzero Ferdinand de Saussure (1857-1913) ha suggerito che proprio una vocale indistinta simile fosse presente già nell’indoeuropeo, per poi evolversi in tante vocali diverse nelle lingue che parliamo ai nostri giorni in Europa.

Infine, a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, lo schwa si è imposto nell’IPA di cui parlavamo sopra, diventando imprescindibile in ambito accademico e imponendosi in italiano per lo più come lo schwa, sostantivo di genere maschile, anche se esiste una buona fetta di popolazione (specie nella Svizzera italiana) che tende a dire più comunemente la schwa al femminile.

Come si pronuncia?

E veniamo ora a una delle domande che ci si pone più di frequente in materia: come si pronuncia correttamente lo schwa? In tal senso, le risposte che possiamo dare sono due. Se ci riferiamo infatti al termine schwa in sé e per sé, la pronuncia corretta è scevà, in ragione dell’etimologia di cui parlavamo poco sopra.

Se, invece, vogliamo capire come pronunciare lo schwa all’interno di una parola, anziché fare riferimento a dialetti nostrani o lingue straniere, ci basterà tenere a mente un semplice principio: lo schwa, in realtà, non si pronuncia affatto.

Dobbiamo insomma immaginare che al suo posto ci sia uno spazio bianco, un “saltello” fra una sillaba e l’altra – o fra un termine e il successivo –, senza sforzarci di associarlo a un suono specifico. Un po’ come quando, anziché leggere l’alfabeto italiano appoggiandoci alla lettera “i”, pronunciamo le consonanti “nude e crude”: b, d, p, t (e non , , , ) e così via.

Questo dovrebbe renderci il compito più agevole, portandoci in automatico a “riempire” il vuoto dopo ogni lettera con un suono neutro, senza accento o tono, di scarsa sonorità: uno schwa in tutto e per tutto, che così facendo rende come “tronca” la parola in cui è inserito.

Lo schwa nel dibattito contemporaneo

Una volta chiariti i dubbi principali sullo schwa, possiamo ora osservare più da vicino il ruolo che ha assunto nell’opinione pubblica negli ultimi anni, partendo dal presupposto che sempre più spesso le rivendicazioni per la parità di genere e per i diritti della comunità LGBTQIA+ passano anche attraverso l’uso che facciamo ogni giorno della lingua.

Molte abitudini radicate culturalmente nella nostra parlata, infatti, sono il segnale di un determinato modo di pensare, di concepire il mondo e di rapportarci d’istinto con chi ci circonda, proprio come ci hanno tenuto a sottolineare per secoli i più noti e autorevoli linguisti a livello internazionale.

Di conseguenza, chi non vede di buon occhio il retaggio patriarcale che ci spinge in italiano a usare il genere maschile come se fosse neutro, riferendoci di default a una persona non meglio identificata con il maschile, o parlando al maschile di un gruppo di persone di genere misto, ha cominciato a proporre delle alternative più inclusive in merito.

Per evitare di marcare il genere e per rispettare l’identità di chiunque, senza applicare preferenze a priori o privilegiare una categoria a scapito di un’altra secondo una prospettiva intersezionale, si è quindi ipotizzato di prendere in prestito lo schwa dall’alfabeto fonetico internazionale per indicare graficamente e foneticamente una parola non marcata (come in altre lingue accade già con l’asterisco, con la chiocciola, con la x o con la u).

Una posizione che ha trovato, fra i suoi sostenitori, sociolinguisti e studiosi, intellettuali e influencer, grandi aziende e case editrici, d’accordo con l’idea che l’italiano sia una lingua viva e in continua evoluzione, da rendere sempre più specchio della società contemporanea e da spogliare da eventuali disuguaglianze e vizi di forma (spesso indice di un problema più profondo, rispetto a quello puramente formale).

Altrettanti studiosi, scrittori, opinionisti e personalità chiave del nostro Paese, al contrario, hanno manifestato la loro perplessità sull’argomento, fra le quali riportiamo qui quattro delle più argomentate e diffuse. La prima consiste in una critica alla sua inclusività, dal momento che lo schwa non è immediato da decifrare per i sistemi di lettura automatica ipovedenti o per le persone dislessiche, trasformando un tentativo paritario in una nuova forma di esclusione selettiva.

La seconda si colloca in un ambito legato più alla poesia, che ci si chiede come si possa far funzionare a livello di conteggio sillabico e di schema di rime se si inserisce al suo interno un elemento come lo schwa, in particolare nel caso di traduzioni poetiche da lingue straniere che a loro volta flettono il maschile e il femminile.

La terza, invece, interessa più l’indicizzazione SEO sui motori di ricerca dei testi pubblicati online, e fa notare che allo stato attuale un colosso come Google considera come parole chiave distinte e separate tutti i termini come signore, signora e signorǝ, associando a ciascuno di loro un volume di ricerca diverso e ponendo non pochi interrogativi a chi vuole fare un uso più consistente dello schwa ma, contemporaneamente, posizionarsi in modo efficace.

In ultimo, una certa difficoltà è data dalla scelta della radice da usare in termini nei quali quest’ultima cambia parzialmente fra il maschile e il femminile, come in moderatore e moderatrice, visto che finora è molto comune trovare scritto a prescindere moderatorə, in una forma che sembra oscillare un po’ di più verso il maschile.

Naturalmente, va ribadito che si tratta di una questione ancora aperta, in cui non per forza esistono posizioni univoche e immutabili, anzi: chi si batte per l’uso dello schwa può riconoscerne i limiti e avere intenzione nel frattempo di superarli, o di trovare un’alternativa ancora più adeguata di questa, mentre chi ne ha una visione più scettica può comunque concordare su alcune argomentazioni favorevoli e accogliere volentieri un cambiamento linguistico e culturale di fondo.

Esempi d’uso dello schwa

Car Tar¹,

non devi essere triste perché non ci sono, altrimenti divento triste anch’io. E poi tu hai gli altri ragazzi, papà e mamma, la nostra camera, gli amici, i Sapienti di sempre… Cosa dovrei fare io, che sono qui sol fra questi terrestri così strani e diversi da noi? Però devo riconoscere che fanno di tutto per farmi stare a mio agio. Purtroppo qualche volta non è possibile, ma non dipende da loro. Però non devi metterti in testa che io qui sia infelice e abbandonat. Soprattutto non dirlo a papà. In fondo sono stat io a voler venire sulla Terra. E poi mi diverto, con tante novità.

¹Nota per i terrestri. Non si tratta di un errore del tipografo. La lettera — come tutte le altre scritte da Mo ai suoi che riporteremo più avanti — è stata tradotta dal denebiano. Lingua che prevede, per i ragazzi al di sotto dei 50 anni, pronomi e aggettivi di genere neutro. In italiano il neutro non esiste, perciò – per non farvi pensare che a questo punto Mo attribuisca uno dei due sessi a sé o a Tar – abbiamo privato della lettera finale tutti gli aggettivi che li riguardano.

Il brano qui presentato è tratto da un romanzo per ragazzi intitolato Extraterrestre alla pari (Einaudi ragazzi), che la celebre autrice sarda Bianca Pitzorno ha pubblicato per la prima volta nel lontano 1979. Lo schwa non era ancora presente, ma la funzione a cui oggi assolve sì.

Lo spunto di riflessione che propone il testo, infatti, riguarda la necessità di andare oltre i pregiudizi nel corso della nostra crescita, stabilendo chi siamo e in chi ci identifichiamo al di là delle convenzioni, delle “griglie” o delle regole preconfezionate che potrebbero esserci imposte dall’esterno. Ecco perché possiamo individuare nella nota di Bianca Pitzorno un buon esempio ante litteram di come si utilizza lo schwa al giorno d’oggi.

Come si sarà già intuito, perciò, la sua utilità consiste nel permetterci di parlare di una persona di cui non conosciamo l’identità di genere, o che sappiamo non riconoscersi nel binarismo uomo-donna, usando sostantivi, aggettivi e participi passati che al singolare abbiano uno schwa al posto della -a e della -o finale, o al posto della -e e della -i al plurale se siamo davanti a un insieme variegato di persone che non vogliamo definire usando il cosiddetto “maschile sovraesteso” o “maschile universale” (es. Un gruppo di professori per indicare un gruppo di professori e di professoresse).

Es. – Dove sei andatə ieri sera?
– Ho assistito a una presentazione in libreria. Non eravamo tantissimə, ma mi ha colpito che unə ragazzə sia intervenutə insieme a me su una tematica proposta daə moderatorə che mi sta da sempre molto a cuore.

A questo proposito, evidenziamo la tendenza sempre più diffusa a differenziare però il singolare dal plurale, usando nel primo caso lo schwa di cui abbiamo parlato finora e facendo ricorso, nel secondo caso, allo schwa lungo per il plurale: il suo simbolo è “з” e la sua pronuncia è sostanzialmente assimilabile a quella dello schwa breve. Riprendendo l’esempio precedente, dunque, potremmo esprimerci in maniera più precisa come segue:

– Dove sei andatə ieri sera?
– Ho assistito a una presentazione in libreria. Non eravamo tantissimз, ma mi ha colpito che unə ragazzə sia intervenutə insieme a me su una tematica proposta daз moderatorз che mi sta da sempre molto a cuore.

Per digitare entrambi gli schwa dal proprio computer, esistono inoltre numerose scorciatoie e possibilità in base al sistema operativo e al programma su cui si sta lavorando, mentre da mobile la tastiera Android e quella iOS sono state già aggiornate per permettere agli utenti di trovare entrambi i simboli fra quelli di default.

Alla luce di quanto abbiamo descritto fin qui, si riesce a capire fino a che punto la questione dello schwa sia complessa e sfaccettata. Per questo è importante prendere coscienza del discorso in tutte le sue istanze e contraddizioni, tenendosi aggiornati sui suoi risvolti sociali, culturali e comunicativi per capire quali idee e quali parole sappiano di volta in volta rappresentare meglio noi e le differenti comunità che ci stanno intorno.

Fonte: www.illibraio.it

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