Dopo le avventure di "Miss Bee e il cadavere in biblioteca", Beatrice Bernabò torna nel secondo libro della nuova e già apprezzatissima serie di Alessia Gazzola. Il Natale nella lussuosa Alconbury Hall rischia di essere rovinato dalla tensione tra gli ospiti e da un'accusa di furto: tocca alla brillante Beatrice scoprire cosa sia veramente successo e riportare un po' di allegria, magari facendo colpo sul visconte Julian, o sul misterioso cugino Alexander... - Un estratto da "Miss Bee e il principe d'inverno"
Dopo il grande successo del primo libro della nuova serie di Alessia Gazzola, Miss Bee e il cadavere in biblioteca (Longanesi), di cui abbiamo parlato in questo articolo, torna Beatrice Bernabò, protagonista di un giallo carico di tensione e che ricorda le atmosfere descritte da Agatha Christie e da Jane Austen.
Miss Bee e il principe d’inverno (Longanesi), infatti, è tutto ambientato nella lussuosa Alconbury Hall, addobbata a festa, con i camini accesi e gli eleganti banchetti. Beatrice, impegnata a fare da assistente a Lady Millicent Carmichael, si gode l’atmosfera e gli ospiti: l’affascinante visconte Julian Lennox e il cupo cugino di Julian, Alexander…
Ma come spesso accade durante le cene di famiglia, la tensione cresce e l’aria natalizia viene presto meno a causa di un’accusa di furto. Con maestria, Alessia Gazzola in questo secondo romanzo della serie, unisce il mistero di un crimine, e la successiva indagine, agli intrighi amorosi della sua protagonista (degna “erede” di Alice Allevi, Rachele Braganza e Costanza Macallè).
Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto:
Uscì mormorando «a tra poco» e subito dopo saltò in aria: qualcuno le aveva fatto: Buh!
Visto che si trattava di Julian, Beatrice gli disse: «Siete veramente la progenie di Satana».
Oltre a essere con tutta evidenza la progenie di Lucifero, Julian Lennox era anche l’undicesimo visconte di Warthmore, nonché proprietario di Alconbury Hall. Aveva due anni più di lei ed era stato proprio lui, su richiesta di Beatrice, a trovarle quell’impiego presso la zia. L’alternativa, per Beatrice Bernabò, nata in Italia, figlia di un professore di Italianistica all’Università di Londra e amico d’infanzia dell’ambasciatore italiano nel Regno Unito, era appunto di andare a lavorare presso l’ambasciata del proprio paese, ma trovarsi ad Alconbury era mille volte preferibile. Julian ridacchio`. «Vi aspettavo. È l’ora dello sherry flip della zia.»
«Se ne stava per dimenticare. Cos’avreste fatto, sareste rimasto mezz’ora qui appostato?»
«Non se ne dimentica mai.»
Beatrice lo scrutò. Julian indossava una cotta di maglia medievale che la lasciò un po’ più perplessa del solito. A volte portava indumenti fuori contesto, lo trovava divertente.
In inglese, pensava Beatrice, esisteva una parola precisa per definire il visconte: quirky. Ma non riusciva più a ricordare come si traducesse in italiano.
«Che ci fate, vestito così?»
«Proteggo il maniero» replicò lui, del tutto serio.
«Non avete freddo?»
«Io, Miss, vivo in un eterno bollore.»
Non stava bene apprezzare battute così sconvenienti.
Beatrice lo sapeva e gli scoccò un’occhiataccia.
«Giusto per capire, adesso verrete giù con me nelle cucine?»
Ma Lord Warthmore tentennò. «Meglio di no.»
«Milord non va nei piani bassi?»
«Si agiterebbero.»
«Che padrone magnanimo.»
«Difatti la servitù mi adora.»
«Forse perché´ le avete sedotte tutte?»
Julian sembrò considerare seriamente l’ipotesi. «Tutte?» disse e poi con aria riflessiva si mise a contare sulle dita mormorando nomi femminili.
«Oh, lasciate perdere…» concluse Beatrice, avviandosi e costringendolo a seguirla. Lui aveva quell’andatura tutta sua, un po’ come se camminasse sulle nuvole, ma la accelerò.
«Non volete sapere cosa sono venuto a dirvi?»
Beatrice si voltò. «Cosa volevate dirmi, Vostra Signoria?»
«Invitarvi a un appuntamento.»
Lei alzò lo sguardo. «Ah sì?»
«Stanotte.»
Si fissarono. Il visconte con le sue iridi grigio-verdi che però, quando la luce era scarsa, sembravano scure più del fondale del mare. Beatrice con i suoi occhi spudorati.
«Saremo da soli?» gli domandò.
Sua Signoria si scandalizzò: «Ma certo che no. Per chi mi avete preso?»
Beatrice sapeva che stava scherzando, ma si mordicchiò il labbro inferiore e obietto`: «Però appuntamento è quando si è in due. In tre è già una festa».
«D’accordo, chiamiamola festa. Stanotte al giardino d’inverno.»
«Chi ci sarà?»
«Oh, be’. I soliti. Il cugino Alexander, naturalmente, e altri vari scalmanati del vicinato.»
Alexander Aliankov era il figlio di una sorella di Lord Carmichael che aveva sposato un principe russo. Dopo la Rivoluzione si era trasferito in Inghilterra con i genitori, sfruttando la nazionalità materna. Era bello in maniera insopportabile, ma era anche malinconico e angustiato come
un fratello Karamazov. Era molto caro a Lady Carmichael e, anche se non erano davvero parenti, Julian lo chiamava «cugino».
«Octavia?» gli domandò Beatrice riferendosi a Lady Octavia Charteris. Per Beatrice era diventata sempre più simile a un’amica.
Julian fece cenno di no con il capo.
«Quando le conviene, Octavia è in lutto.» Beatrice sapeva che Julian alludeva a suo fratello maggiore Alastair, morto nel febbraio precedente. Octavia era la sua fidanzata ed era da lui che il visconte aveva ereditato titolo, proprietà e una vagonata di guai. E per quanto ne sapeva Beatrice, quello era il primo Natale senza di lui. Si chiese quindi, e non era la prima volta, in che modo lui vivesse il suo lutto. Julian eludeva l’argomento, il che le faceva ritenere che lo vivesse ancora oggi molto peggio di quanto lasciasse intendere.
«E poi odia le feste. Quindi no, lei no.»
«Proverò a parlarle, magari riesco a convincerla.»
Nel frattempo erano arrivati alla fine del lungo corridoio che portava alle scale verso le cucine.
«E Miss Hester Westbrook?»
«Non credo ne sappia niente. Non da me almeno.»
«Julian, siete scortese.»
«Ma no. Ho solo pensato che a quell’ora normalmente dormisse.»
«Se lo scoprirà ci resterà malissimo. Che c’è?» gli domandò, dal momento che lui la guardava con occhi a fessura.
«Vi sta a cuore la figlia del vostro pretendente?» Julian cantilenò la parola «pretendente», che era riferita a Sir Horace Westbrook, vedovo e padre di Hester, amico d’infanzia di Lady Lennox, affascinante quanto un pinnipede e sì, evidentemente colpito dalle grazie di Beatrice nonostante
lei fosse poco maggiore di età della sua unica figlia.
«Un pretendente non è merce da disdegnarsi, di questi tempi.»
«Posso intercedere, sapete» le disse lui, con contegno angelico.
«Potete? Davvero? Che caro. Ma preferirei che intercedeste con il principe Aliankov.»
Julian incassò e, come pensoso, le disse: «Dimenticavo la vostra fatale inclinazione verso i tipi biondi e malinconici».
Beatrice si incupì` per un istante, come tutte le volte in cui si ricordava di Kit Ashbury, che era molto biondo e un poco malinconico e di cui lei si era creduta innamorata. E anche se forse non lo era stata davvero, certamente quel ricordo le bruciava ancora nelle viscere. Kit, tra l’altro, era stato il più caro amico di Julian.
«Avete più avuto sue notizie?» gli domandò. Non era nemmeno necessario nominarlo. Era ovvio che Kit fosse in un certo senso ancora sempre presente tra loro. A quanto ne sapeva lei, era in India senza data di ritorno fissata. E se anche fosse rientrato in patria, niente sarebbe cambiato per Beatrice, tanto più che già da prima era scomparso dalla sua vita lasciandole vari ricordi, alcuni belli altri brutti, e una spilla a forma di ape che però lei non toglieva mai. Anche in quel momento era appuntata al bavero della sua camicetta.
«No, nessuna notizia. Voi?» si informò lui, cauto.
Beatrice scosse il capo, volendo sembrare indifferente.
Lui si chinò cercando il suo sguardo, che lei aveva abbassato.
«Lo dichiaro allora bandito dalle nostre discussioni una volta per tutte.»
Del resto, per come stavano le cose, nessuno dei due gli doveva lealtà. Ma in ogni caso, nessuno dei due era stato sleale.
Beatrice annuì. Era giusto, andava bandito. Julian avvicinò le mani alla spilla a forma di ape, come per togliergliela, ma lei lo fermò. La portava sempre perché le ricordava che aveva resistito ai dispiaceri che Kit e sua madre Minerva le avevano inflitto e proprio per questo ora la soglia era
ancora più alta: per farla innamorare ci voleva di più, e pure per farle del male ci voleva di più. Non capiva ancora se fosse un vantaggio o meno, ma sentiva di doverlo tenere bene a mente, anche con il visconte di Warthmore.
«No» gli disse. «Questa resta.»
Julian la guardo`, silenzioso, dopo un respiro profondo.
Ritrasse le mani e non commento`. Alla fine disse soltanto: «La zia andrà in astinenza se tardate oltre».
«Julian… prima di congedarvi, vi spiace se telefono a mia sorella Clara?»
«Ma certo che no. Come sta, a proposito?»
Beatrice gli aveva raccontato che la sorella maggiore stava affrontando male la gravidanza e che le sue condizioni le davano molta preoccupazione.
«Sembrerebbe bene. Ed è uno di quei casi in cui… nessuna nuova buona nuova.»
Lui annuì con comprensione, ma altro non disse se non:
«Vi lascio. Ci troviamo a cena e poi stanotte».
«Intesi.»
(continua in libreria…)
Fonte: www.illibraio.it
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